The Dark Side Of The Moon, 50 anni di un Capolavoro ancora giovane

Ogni volta, come fosse la prima. Ogni traccia un’emozione diversa e uguale, la sorpresa per una sonorità che scopri al milionesimo ascolto e la conferma di quello che è un capolavoro. Assoluto.

The Dark Side Of The Moon è un album senza tempo, all’avanguardia, anche oggi a 50 anni dalla sua uscita datata 1 marzo 1973: gli Usa furono i primi a vederlo circolare, seguiti quindici giorni dopo dalla Gran Bretagna. Un capolavoro eppure ancora giovane, ancora giovane e lo sarà sempre pure dopo altri 50 anni, che i Pink Floyd portarono prima in tour per oltre un anno, per poi registrare in studio solo in un secondo momento.

Perché quello era come fosse un altro mondo, la concezione era diversa: non esistevano i tour promozionali, si suonava dal vivo in tour che vivevano di vita propria e non perché legati all’uscita di un disco. Dopo, solo dopo, Roger Waters, Rick Wright, David Gilmour e Nick Mason entrarono in studio per rendere immortali quelle canzoni che con successo erano state portate nei concerti davanti a fortunatissimi fan e appassionati.

Sono un’infinità i motivi che rendono l’album unico, “perfetto”. Seppur un concept album, anzi Il concept album per eccellenza, ogni traccia potrebbe avere una vita tutta sua. Prima della parte musicale, però, c’è la parte visiva che diventa un ingrediente fondamentale nella riuscita di un album simile. Se è vero che un libro non andrebbe mai giudicato dalla copertina, in questo caso una eccezione va fatta. Una copertina apparentemente semplice, uno sfondo nero con un prisma triangolare rifrangente, con un fascio di luce che nell’immagine ha sei colori: eppure si conferma ogni volta la più riconoscibile, apprezzata e tra le più famose al mondo. Fu il risultato del genio di Georgie Hardie, una copertina ideata da un altro genio, il fotografo Storm Thorgerson, fondatore dello studio grafico Hipgnosis, che mise la firma su gran parte delle copertine di album che hanno segnato la storia della musica

Ci sono la solitudine e la pace di Breath, che diventano frenesia nella strumentale On The Run, un pezzo elettronico, simbolo della ricerca e della sperimentazione dei Pink Floyd: c’è l’utilizzo del sintetizzatore Synthi AKS, l’effetto doppler dato allo stesso, il suono della chitarra come mandato al contrario, l’esplosione di un ipotetico aereo. Ci sono la forza e il potere del denaro in Money e il tempo che scorre in Time. Per entrambe, la particolarità e questa intro legata al concetto stesso delle due canzoni:. Nella prima è stato registrato il suono di monete lanciate sul pavimento degli Abbey Road Studios, da un paio di metri di altezza; per la seconda l’allora giovanissimo tecnico del suono Alan Parsons aveva affittato un negozio di orologi nelle vicinanze degli studi, dove registrò per diverse ore una sveglia alla volta per poi sovrapporle in studio creando l’effetto famoso in tutto il mondo.

E poi ancora la sofferenza, il dolore, di The Great Gig in the Sky. Caratterizzata da tante parti strumentali, nella traccia in cui il piano di Wright strappa il cuore, la ciliegina su una torta già splendida è l’assolo vocale dell’allora corista Clare Torry. Con la sua voce improvvisa ed esprime dolore, ‘complice’ anche l’idea di Wright che le disse di pensare alla morte e qualcosa di macabro mentre improvvisava in fase di registrazione. Quando uscì dallo studio, si scusò con il resto della band della sua performance che non l’aveva soddisfatta.

Al contrario, i musicisti l’accolsero tra la soddisfazione e lo stupore per quanto avevano appena sentito. E poi la calma di Us and Them, un pezzo di critica contro la guerra scritto interamente da Waters. Un tema, questo, che già mezzo secolo fa prendeva a tema per le sue straordinarie canzoni. L’album si chiude con un terzetto di canzoni che vanno quasi a formarne una, ovvero Any Colour You Like, Brain Damage ed Eclipse: una chiusura in crescendo, verso un viaggio unico, alla scoperta del lato oscuro della luna.

di Pink

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